Questo non può che essere solo la prima di una serie di riflessioni su questo tema che da tempo non mi abbandona.
All'occhio più attento non sfuggirà che il titolo ha qualcosa a che fare molto da vicino con Pier Paolo Pasolini.
Proprio al lui e alle sue riflessioni devo la mia possibilità, oggi, di dare un nome a ciò che vedo. Mi desta infinita meraviglia pensare che quest'uomo avesse intravisto già da allora l'inizio di tutto questo...
A scuola in questo periodo si è vicini alla fine del primo quadrimestre. Periodo di infinita rottura per gli insegnanti e di ansie e tensioni per gli alunni. Tutto per mettere dei numerini su un tabellone e, se possibile, evitare qualsiasi genere di gabole.
Anche io ci metto del mio in questo marasma e, sperando che sia un occasione per i ragazzi di potersi esprimere, impartisco loro l'odiata “verifica”.
Con la pazienza che mi resta mi accingo a leggere le verifiche di una classe tra le più attente, sveglie e attive.
Mi crolla un sogno, cadono i miti, si schianta a terra la possibilità di una soddisfazione di insegnante: è un disastro.
Mi rendo conto, pagina dopo pagina, che non solo hanno capito ben poco di quello che ci siamo detti, ma soprattutto sembra che scrivano quello che capita, senza rendersi conto se ciò abbia un senso oppure no.
A scuola capisco. Non sono stati capaci di comprendere che tipo di “performance” gli veniva richiesta, che tipo di risposte dare e come scriverle. Questo li ha mandati nel pallone e ha cancellato anche la possibilità di scrivere qualcosa di semplicemente sensato. Già, questo mi stupisce e spaventa. Finché è chiaro ciò devono imparare e ripetere, con un po' di studio tutto fila liscio. Quando si tratta di rielaborare informazioni, chiedersi perché, essere capaci di critica cercando di trovare motivazioni razionali, tilt.
Perché? Che responsabilità hanno loro di tutto ciò?
Per ora direi poca. Mentre noi ci occupiamo di parlare di massimi sistemi, di mettere da parte i soldini per comprare l'auto, di chiacchierare di telefonini e satellite, regaliamo a generazioni tutto il vuoto e la merda che si è accumulata negli ultimi decenni. La TV è l'esempio peggiore di questo genere di insegnamento, ma potremmo fare una serie infinita di esempi. Ci siamo occupati di “stare meglio” negli anni della crescita, e ci siamo illusi che questo significasse guadagnare di più e poter acquistare più cose.
Io non c'ero, ma ho respirato questo genere di prospettiva culturale nella mia casa, tra i miei parenti, nel mio paese. La prospettiva è il miglioramento lavorativo e la carriera, o comunque avere abbastanza soldi per godersi la vita.
Sul godersi la vita non posso che essere d'accordo, ma riempirla di cose (per giunta senz'anima, vedi “La carezza di Dio, lettera a Giuseppe di Tonino Bello) per questo fine è solo un'illusione che ci ha portato al vuoto.
Un illusione che ci fa vivere nell'assurdo del nostro presidente del consiglio come se fosse poco più che normale. Come se fosse normale che si parli di Pace a sinistra intendendo un'altra cosa. Siamo tutti piccoli ladri di cose inutili e vuote: la differenza tra noi e i politici è la quantità di potere (vedi discorso del vecchio saggio nel film “Kiriku e la strega Karabà”).
Non c'è tempo per pensare, ecco perché i ragazzi non ne sono capaci.
Finché non cominceremo ad avere il coraggio, poco alla volta ma inesorabilmente, di fare le piccole scelte che ci portino alla liberazione, continueremo ad essere schiavi accondiscendenti e ciechi. Non solo continueremo ad essere vittime di quel genocidio culturale, ma ne saremo responsabili. Noi siamo gli artefici ciechi del nostro suicidio di massa, e vi trasciniamo con noi le giovani generazioni. E' ora di essere svegli. Rifiutare ciò che non è festa e che non è umano, riprenderci la lentezza del tempo, rigettare indietro la paura che ci immobilizza, ricominciare a ballare e a fare festa per davvero.